Sarai mio a tutti i costi //// quando le donne des
rilasciato 18.02.2023 in categoria sesso raccontoSarai mio a tutti i costi //// quando le donne desiderano…e immaginano…Disteso. Dormi placido, nella luce azzurrina che, dalle fessure della tapparella, filtra in questa alcova, nella tua camera, inondandola dolcemente. Che splendida questa atmosfera… così tremendamente irreale, così densa di sogno, eppure così tremendamente palpitante. L’aria è immobile, solo a tratti pare respirare, contrarsi e dilatarsi, per soffiare con delicatezza l’odore rosso bruno di sesso, passione… della tua pelle bagnata di me. L’aria qui dentro è viva, respira nel sonno di questa calma notte, proprio come te… distesa a riposare dopo ore di passione, foga… dopo ore di te, di me, di nient’altro.
Dalla mensola, proprio davanti al letto, indelicati, ci spiano gli occhi vitrei, immobili di quella tua dannata vecchia bambola. L’hai chiamata Emilie, proprio così, senza la Y. Dicevi che quel nome, alla francese, era quello più indicato. Da piccolo l’amavi quella bambola: adoravi quel pezzo di stoffa, eri folle per quel viso di gomma plasticata, per quegli occhi di vetro, quei capelli di nylon lavorato. Non ti ho mai chiesto da dove fosse arrivata, chi te l’avesse donata… ma di una cosa sono assolutamente sicura: muoio dalla gelosia per quella cosa di stoffa, gomma ed ovatta.
La odio. La ucciderei. Di lei non mi hai mai parlato, me ne accorgo solo adesso, ma so, lo sento, che in una parte nascosta, forse sopita, del tuo cuore e della tua anima, a quella cosaccia di stoffa sei ancora tremendamente legato. La odio… basta questo per odiare? Si, certo… basta eccome! Non potrei mai digerire di doverti dividere con qualcuno. O qualcosa!E’ un flash, uno solo… breve ma intenso, descrittivo, penetrante. Hai più o meno sei anni.
Sei seduto docile sul pavimento della tua cameretta, proprio qui per terra, accanto al letto, dalla parte dove ora sono distesa io, di fianco, mentre ti guardo dormire profondamente. Mi giro sull’altro fianco e posso quasi toccare l’immagine che, di te, quella visione mi regala. Hai le gambe incrociate, come all’asilo, quando ti dicevano di sederti all’ indiana. Tutt’attorno, sparse, giacciono le tue automobiline di ferro eplastica, rovesciate, confuse: inutili pedine di una strage automobilistica, di un maxitamponamento sull’autostrada del tuo pavimento.
D’un tratto sposti gli occhi dalla scena d’apocalisse, di lamiere che si accartocciano, sirene che urlano disperate, grida d’agonia e rumore di cesoie idrauliche. E’ il canto d’una sirena a richiamarti… silenzioso, flebile, eppur tremendamente maleducato nell’entrarti in testa senza permesso, senza nessuna intenzione d’uscire. E’ lei, la dannata Emilie che gorgheggia dalla mensola dove si sente troppo sola. I tuoi occhi, scuri di pozzo profondo, iniziano a cercare i suoi, si fissano nel riflesso di quelle biglie di vetro.
Il tuo respiro si fa veloce, il cuore impazzito. Nella bocca qualcosa ha rinsecchito la lingua, l’interno delle gote, le gengive. Lì sotto il tuo sesso piccolo, delicato, s’arrossa, si gonfia. Tu sai cosa significa. Tu sai che è lei che lo vuole. Tu sai di non potere, di non volere, di non saper dire di no. Ti alzi con un movimento scomposto, come se l’equilibrio fosse malfermo, ed in pochi passi spacchi la stanza, dal letto alle mensole, lungo la parete opposta.
Una volta che l’hai ben stretta tra le mani, in un abbraccio goffo, inesperto, a passi larghi, frettolosi ma sempre discreti ti avvicini alla porta. Spingi il battente all’esterno, sul corridoio, per dare solo un’occhiata, essere sicuro che nessuno ti disturberà per i prossimi minuti. Nessun fiato, nessun rumore… nulla! Richiudi la porta e sei steso sul letto dopo poco. Strofini quel bozzo oblungo, duro, coperto dai pantaloncini del pigiamino, contro il gonfiore liscio che Emilie ha sotto la gonna a fiori.
E’ solo un caldo che cresce, è solo un senso strano di frenesia… è solo un po’ la testa che gira. Non mi vedi, non leggi l’odio che mi galoppa su e giù per il corpo, puledro impazzito. Sei mio e non posso accettare che, anche solo per un momento, tu sia stato suo. Non è come le mille ragazzine vuote, fotocopiate, che ti ronzano attorno, che non mi fanno né caldo, né freddo… con Emilie è diverso.
L’intimità del momento mi distrugge. Sto male e grido, ti grido basta, ti urlo smettila, fermati… ti grido che t’odio quando pensi a lei, quando la tocchi, l’abbracci, la possiedi così. Non c’è risposta. Non me l’aspetto… non puoi sentirmi. Non mi hai mai parlato di lei… ma so che quello che ho visto è vero, dev’essere vero. Ricordo quando quei giochi riempivano la mia, di fantasia, le mie di giornate, dipingendo d’una tinta proibita, incomprensibile le mie ore.
E’ come se lì con te, bambino, nella mia visione ci fossi anch’io, con quella gonna orrenda, anche la mia a fiori, quegli occhi strabici, dietro gli occhiali tondi, infantili, di plastica rossa. Sono anch’io lì, con quel mio modo assurdo, scomposto di camminare… come una paperetta che ancheggia dondolando su gambe tozze, rigide. Ci sono anch’io lì, con la mia barbie con la b minuscola, quella delle bancarelle da festa del paese, nella confezione piatta di cartone grigio, con la plastica dura e anatomicaad avvolgerla.
Sei lì sul letto che non mi guardi mentre faccio sgobbare la barbie, sguattera senza nome, con il suo vestito sporco, lacero, nella cucina di plastica giallo fluorescente. Sei lì sul letto a sfregarti Emilie contro i pantaloni, troppo occupato a leggere ogni tua sensazione per vedermi. Ci sono anch’io, però, lì, con la servetta senza nome, barbie delle bancarelle… mentre, facendolo balzellare a saltelli brevi, nella mia mano destra che sale e scende, scartando a sinistra, porto in scena un omaccione muscoloso, con un paio di slip neri soltanto indosso.
Ecco Big Jim, quello vero, dritto dallo scaffale del negozio… ecco Big Jim, rubato solo per questi piccoli fuori programma dal cesto di giochi di mio fratello più piccolo. Ti sfreghi il bozzo ancora più forte, Emilie ridotta quasi a pialla per quel puntello di frassino che non vuol saperne di piegarsi. Sfreghi con più vigore, per vedere come ci si sente, che effetto fa, mentre Big Jim, ubriaco, di ritorno dal bar, ha da ridire con la barbie sguattera per la cena preparata.
E’ un pugno, uno solo, violento, al centro del viso. E’ un pugno solo, alla maniera di papà con mamma. Barbie, col naso pendulo, sanguinante, si piega in terra, si inginocchia: “No, no ti prego, anche stasera no… perdonami”… è solo un sussurro disperato, che sa di moccio e sangue, del salato delle lacrime calde, mentre finiscono in bocca sporche, quando si piange disperati, col naso rotto, coscienti che, tanto, non servirà a nulla.
Big Jim la spinge contro il tavolo, la sbatte con tutto il tronco sui piatti, sulla minestra, come se il suo vestitino non fosse già abbastanza sporco. Big Jim le tira su il vestito, le mette la gonna sulla testa e le tira giù le mutande, come se il vestitino non fosse già abbastanza strappato. Proprio come papà. La prende rude, violento. Non le interessa che urli, strepiti, che lo implori… anzi. E’ proprio come il mio papà Big Jim, che sbatte violentemente il suo bacino contro quello di mamma, strappandole urla ad ogni colpo, mirando alto, in quello che dopo ho capito essere l’altro buchetto che a voi maschietti tanto piace.
Big Jim ha nei miei giochi le gambe sporche di sangue, sulle cosce dure, da muratore… barbie piange lacrime rosse che scivolano sui polpacci. Big Jim è sporco di sangue, come ora vorrei lo fossi tu, in questo quadretto che sa d’un afrore insopportabile, come vorrei che fossi tu mentre continui a strusciarti quel pezzo di stoffa sui calzoncini, mentre tieni ad Emilie la gambe assurdamente divaricate, strette per le caviglie tra le tue manine voraci.
Vorrei che i tuoi calzoncini, lì, si sporcassero di sangue, di quello di Emilie… vittima d’una emorragia copiosa, stroncata, mentre lì, come una donnaccia di quart’ordine si dimena sul tuo bozzetto. Emilie, come quella barbie, come la mamma, se lo merita. Sgualdrine!Non succede nulla. Il flash, così com’era arrivato, così come s’era arricchito, svanisce nel silenzio, in quella mia scrollata di testa, con gli occhi chiusi, stretti, chefaccio per cacciarlo via. No, questa luce azzurrina non la si può sporcare con i giochi zozzerelli, coi ricordi neri d’un gioco d’infanzia.
Sei ancora lì. Il tuo volto è disteso, in penombra, mentre lo sterno, incassato debolmente al centro del tuo petto scuro, va su e giù debole, al ritmo del tuo respiro. Il lenzuolo, ormai anch’esso azzurrino, solo un punto più scuro delle pareti, ti copre discreto il sesso e la gamba destra, avvolgendo quel pezzo di te tra le sue pieghe. Quanto sei dolce, così addormentato. I capelli, sudati, sulla fronte che solo ora s’è asciugata al vento fresco che filtra da fuori, si sono solo un po’ arricciati sulla fronte, in piccoli tirabaci scomposti.
Te ne darei uno, cento, mille per ognuno di quei graziosi ricetti che ti incorniciano. Te ne darei milioni… ma dovrai giurarmi che sono sola, con te… che esisto solo io. Te ne darei miliardi, miliardi e di più… ma Emilie dovrebbe morire, morire stanotte stesso, assieme alla tua promessa. Il sesso mi si gonfia, le labbra, quelle grandi, si allargano… lasciano venir fuori quelle più piccole, intime, nascoste… la mia “signorina segreta” si erge altezzosa, prima ballerina d’un debutto mondiale.
Mi sento impazzire, sento la saldatura delle mie cosce che pulsa di sangue, piena… ho lì sotto un altro cuore, o è solo una sensibile cassa di risonanza per quello che ho nel petto? Non lo so, adesso non mi interessa capirlo, saperlo… voglio solo vivere con tutta la passione che serve questo momento, assaporare questo muovo quadro che mi esplode sul viso, qui su questo letto… e che mi fa eccitare così forte.
E’ assieme a questa immagine che mi sono d’un tratto accesa, lì sotto… e adesso voglio viverla tutta, finché vorrò. M’hai detto sì, me lo hai sussurrato nell’orecchio, senza ascoltare neppure quello che volevo dirti. L’hai detto così, d’istinto… perché “al Cuor non si comanda”. Ti sei alzato, hai tirato a te il lenzuolo che ci copriva, lasciando me nuda e avvolgendo le tue gambe, il tuo bacino. Simpatico, improbabile pudico che sei! Ti perdono tutto, ora.
Ti perdonerei tutto, ogni cosa, adesso che prendi quella sgualdrina dal collo, strappandola alla mensola dov’era seduta. Ti perdonerei ogni cosa, ti perdono d’avermi lasciata qui nuda, nella luce azzurrina di questa stanza… ma mai, ascoltami bene, mai potrei perdonarti se non avessi il coraggio d’andare fino in fondo. Mai ti perdonerei se adesso tu non facessi quanto ti ho chiesto di fare… se adesso tu, col sangue di quella stronzetta a lordarti le mani, non mi giurassi eterno, esclusivo amore.
E tu lo sai. Lo hai letto nei miei occhi. Non c’è bisogno d’aggiungere altro! Sembra quasi che anche tu senta quell’odore forte, di passione, quell’odore che sa di umido, che si fa afrore ogni passo in più che muovi per raggiungermi su questo letto. Solo al pensare a quel sangue che presto lorderà le federe del letto dove, poi,frenetici, ci lasceremo andare, spudorati come mai, senti che ancor più prepotente si fa il bussare lì sotto, tra le mie cosce.
Sembra quasi che tu possa vedere tutto il mio pube che s’infiamma come ferro fuso, si surriscalda, sfrigola chiaro in questa riposante penombra, mentre fai qualche passo indietro, senza togliermi gli occhi di dosso, per prendere il taglierino che hai sulla scrivania. Godo. Godo come una matta nel vedere gli occhi di quella palla di stracci che strabuzzano, mentre le stringi la gola nell’incavo angusto tra indice e pollice. Mi eccita quello sguardo consapevole, quegli occhi mi mandano in estasi mentre leggono le ultime, violente, feroci righe della vostra storia.
Bravo Amore mio, bravissimo. Ogni passo che ti separa dal letto dove sgozzeremo assieme quella vacchetta è un passo che ci separa da te dentro di me, adorabile, furioso come mai, che spingi, premi, ansimi sulla mia pelle sudata. Eccoti, dolce cuore mio. Sei in ginocchio sul letto, proprio di fronte a me. Il lenzuolo è ormai appallottolato ai piedi della scrivania… il tuo sesso dritto, gonfio, dialoga telepatico con la mia Lei. Ha fame di me, come io non ho altro desiderio se non quello di divorarlo dentro la mia carne.
Spingi quella pezza vecchia sul letto, pancia in su. Ti adoro quando sei così diretto, così ferale… vuoi che guardi, vero? Vuoi che assapori quel momento frazione per frazione vero? Ti amo! Mi guardi sorridendo, con gli occhi che parlano. Senza fretta, senza fretta Amore mio. E’ lì distesa. Si dimena sotto di noi, piccola, incapace di difendersi… e noi lì pronti, a gustarci il suo dolore, le sue lacrime, le smorfie, per la prima volta espressive, che il terrore le dipinge in volto… piccola “Urlo” di Munch post-consumistica.
Ha le sopracciglia disegnate a matita, e le dipinge nuove, arcuate in un paio di tragici ponti sul mare della paura che le sono divenuti gli occhi: due palle liquide e non più vitree, due palle vive di pura angoscia. Il sorriso, come un tratto curvo di matita, è divenuto un tondo scomposto, ovoidale… e i due puntini che prima tratteggiavano le sue narici, sono ora cerchietti dilatati, da scrofa, alla ricerca di aria, mentre la consapevolezza del terrore la costringe a cacciarsi tra i polmoni di spugna tutta l’aria che può.
Io su di lei, inginocchiata a gambe larghe, con la sua testa proprio sotto il mio pube e le dita ad inchiodarle mani e piedi, divaricate, contro il materasso, contro la federa. Mi sorridi e lasci che la lama del taglierino scorra verso l’esterno… lentamente, senza fretta. Lasciamole mangiare ancora un po’ questa morte che le si avvicina, la guarda, la tocca di sotto e le accarezza il seno, lasciva. Anche il tuo coltello ora è dritto, tutto sfoderato, come la carne che presto mi darà piacere, zittirà con foga e passione le urla del mio sesso.
Siamo pronti…Mentre la punta della tua lama, affilata, le entra proprio tra le gambe, sotto la gonna, ho un sussulto assieme a lei. A me pare quasi d’avertisentito premere discreto col tuo sesso contro le pareti umide della mia grotta… per lei è viva solo una sensazione acida, bruciante: quella d’una lama che la squassa, la sventra con una lentezza esasperante aprendola sotto, da parte a parte. Sogno il tuo viso, le lenzuola, inondate d’un rosso scarlatto che, però, non viene fuori… E’ solo finta, fintissima ovatta, a simulare la pienezza della pancia, la durezza del petto, il seno formoso ed il sedere di burro.
E’ solo finta ovatta quella che gli strappi piano, frugando con le dita nello squarcio col quale l’hai sventrata. E’ solo finta, fintissima ovatta… e tu l’hai uccisa per finta. D’un tratto mi raffreddo. D’un tratto tutto mi sembra stupido, inutile. Scaccio via il sogno, ancora scuotendo la testa ed aiutandomi con una mano, a fare vento che si porti via tutte queste stronzate…Stronzate. Sono solo un mucchio di stupide baggianate quelle che avevo in mente.
Non lo farà mai! Lo amo, è vero… e lui ama me, ne sono convinta. Purtroppo, però, non la ucciderà mai. Potrei implorarlo, minacciarlo, urlargli in faccia tutto quello che voglio. Mi prenderà per matta. Non lo farà mai. Potrei farlo io, certo, ma so cosa succederebbe dopo… so cosa mi aspetterebbe: la sua ira, la furia d’un uomo cui il segreto più prezioso viene disgelato. Lo so, urlerebbe come una furia, rompendo l’incanto di questo momento così magico, così azzurro, così placido… e questo non posso permetterlo.
A nessuno, neppure a me stessa! L’odio m’accende d’una vampa nuova, questa volta dal cuore fino alla spina dorsale, regalandomi una puntura intensa, seppur breve… e lasciando le mie mani e le gambe a tremare, nervi completamente tesi, davanti a quella visione. La guardo ancora, quella sgualdrina… la guardo ancora mentre mi fissa beffarda, con un ghigno maledetto stampato su quella sua faccetta di pezza bianca. Non un filo di polvere, su di lei.
Ci tiene tanto, per tenerla così pulita, per prendersi cura di lei così maniacalmente. “Hai visto stupida? Ti sei arresa, finalmente? Non potrai mai averlo. Mai!”… è lei che mi sussurra, con tutta la spocchia e la superiorità che ha in quel cuore di straccio, il risultato della nostra battaglia, che mi comunica ammiccando, sadica, la sua vittoria. Ti odio Emilie, con tutto il mio cuore. “Odiami quanto vuoi, cara mia… ma, vedi, tu puoi averlo di certo quando vuoi – smettila – … su questo letto o altrove.
Potrai sposarlo, potrai farci dei figli, scoparci, farti sbattere come ti piace –smettila stronza – …o fare all’amore ogni notte. Non mi interessa. Tanto sai meglio di me che, quando non ci sarai, o sarai di sotto, nella vostra cucina – ti ho detto zitta puttana! -…a preparargli la cena, sarà da me che correrà, si chiuderà nel suo studio con me e tornerà a sfregarmi sul suo bozzo. Soli, io e lui, nella nostra alcova proibita, segreta.
Tu saprai – Zitta! – …lo saprai ogni volta, ognivolta che lui m’avrà avuta o che io avrò avuto lui, tu lo sentirai, potrai leggerlo nel suo sguardo rilassato, appagato… nel suo sguardo di uomo”. Non resistevo più, avrei voluto sgozzarla lì, sul posto, svuotarla e farla penzolare come un palloncino bucato, giù dal soffitto. Lì, tra le cosce, anche se solo per poco, pulsai ancora. “E non potrai che accettare in silenzio tutto questo… rassegnati.
” E fece spallucce al mio sguardo carico di lacrime fatte d’odio, di cristalli di puro furore. “Basta fare di nuovo il mio gesto con la mano, stringere gli occhi mentre faccio di no con la testa, per scacciarla via… avanti, vattene!”. Eccola lì, invece, che sposta gli occhi dal mio viso al suo sesso, al sesso del mio Amore, nascosto dal lenzuolo. Ha ragione, quella stronza ha ragione… lui non sarà mai davvero mio!A meno che… a meno che… a meno che io… non glielo porti via in qualche altro modo.
Ne conosco solo uno, un modo solo… ma poi non potrei averlo mai più con me. Dovrei tagliare la gola a lui, nel sonno, mentre non può sentire, vedere, capire nulla… e guardarlo andare via sereno, mentre il letto si fa rosso di sangue, mentre sul lenzuolo si disegna una ragnatela nuova di rubino scarlatto, pesante. Di certo sarebbe sempre così, perfetto nella sua giovinezza, splendido, in quel rassicurante sonno del dopo orgasmo, in quella luce sognante, con quella brezza della sera, carica di stelle a raffreddare il sangue che inzupperebbe le lenzuola.
No!Lo perderei. Se facessi così, lui non sarebbe più qui con me. Un funerale, una bara da chiudere in faccia al mio Amore… e lui sotto tre metri di terra o peggio in un cassettone di cemento. Al solo pensiero, lì sotto, avvizzisco, marcisco come marcirebbe lui, sotto terra, nel cassettone, morto… divorato dalle larve, ingiallito, gonfio di gas. E’ allora che, brillante, un’idea mi soffia piano sul collo, leggera, calda… come il mio Amore aveva soffiato sul mio orecchio, prima di prendermi con passione, senza fretta, lì sul letto, solo due ore prima.
Quel soffio mi rimanda subito su di giri. E’ solo un pensiero, ne ha la stessa consistenza e velocità. Ma mi entra in testa, scende nel mio stomaco a dargli energia, potenza, a rivitalizzarlo squassandolo con crampi di fame, per poi sprofondare ancora più in giù, nel mio sesso che si tende per non esplodere, sboccia… e si riempie di sangue ed umori, tra le vene e tra le pieghe della pelle. E’ la soluzione: l’avrei sempre con me, sempre dentro di me… per sempre! Per sempre lontano da quella puttanella che, invece, costretta a guardarci lì, mentre applicavo alla lettera tutte le istruzioni che stavo iniziando a darmi, morirebbe d’invidia e resterebbe atterrita da tutto l’amore e tutta la passione che il mio pensiero, la mia Idea, porta con sé.
Non sarebbe potuta andare in modo diverso, ne ero praticamente certa… La mia mano é sul lenzuolo. Afferro la stoffa leggera che lo copre soloper una mezza metà. La sposto, scopro tutta la sua bellezza, riporto alla luce azzurrina il suo sesso scuro, tinto d’argento da quella luce soffice. E’ nudo. Di nuovo nudo. Di nuovo mio. Mi muovo piano per non svegliarlo e lenta, delicata, passo una gamba su di lui, scavalcandolo per metà, finendo cavalcioni sul suo bacino rilassato.
Piano, pianissimo, con tutta la gentilezza che serve… perché dorma ancora quando inizierò a farlo mio. Pianto le mani sul materasso, una a destra del suo petto, una a sinistra e lentamente, in silenzio, scendo col mio sesso sul suo, ancora morbido, ancora addormentato, mentre tra le mie cosce vorrei cacciare un bavaglio, per impedire che lei, lì sotto, gli urli in viso tutta la sua passione. Ci siamo. Adesso che sono tutta su di lui, adesso che i miei capelli quasi si intrecciano ai suoi, facendogli solletico sulla fronte, adesso posso scendere piano a svegliarlo.
Con un bacio leggero che si fa via via più deciso, un peso che cresce sulle sue labbra, gliele bagna di passione, le avvolge tra le mie in un bacio feroce e appassionato… un bacio senza fine. Si risveglia, il mio Amore… ed è un turbinio quello che mi coglie. La sorpresa pare sia assolutamente gradita. Mi dimeno su di lui vorticando il bacino su quel suo perno che inizia a protestare, a farsi gonfio, a pulsare, mentre il mio respiro cresce inseguendo il suo, sempre più forte, sempre più secco, sempre più caldo.
E’ un attimo, uno solo, ed è subito dentro di me. Fermo mio Amore, non agitarti, non muoverti: farò tutto io. Mi muoverò sinuosa, come so che adori, flettendo le mie ginocchia, rilassando e stringendo più forte i polpacci, flettendo tutte le mie cosce, con gli occhi fissi nei tuoi, ridotti ad una fessura dal piacere. Sei folle, folle come me del piacere che questo nostro amore ti regala… ed Emilie è solo una palla di pezza che immobile, su quella mensola, ci guarda quasi distratta.
Non mi freghi, puttana. Ci vuol poco a fingersi assente, ci vuole davvero poco a trattenere la tua rabbia di stoffa in quel cartoccino di bottoni e stracci che è il tuo petto… non credere di fregarmi così. Quanto vorrei…Big Jim ha bevuto, oggi come ogni sera. Big Jim torna a casa. Big Jim ha fame… ma non ha voglia di nulla per cena. Non è quella la sua fame. Tira dritto per la cucina, senza salutare nessuno.
Lì, ai fornelli, la sua mogliettina smanetta frenetica per preparargli una gustosa minestra. Ma Jim non ha voglia di mangiare: non è quella la fame che sente… non è lo stomaco a prudergli, no. Quei crampi sono più in basso, tra i peli sotto la pancia gonfia di birra. Emilie, la sua nuova mogliettina porta in tavola il piatto con la zuppa fumante. “Cosa cazzo è questo schifo, troia?”. Il piatto vola giù dal tavolo, si schianta sul pavimento… con un frastuono breve e tagliente di ceramica.
Quella pezza con la faccia di ragazza si porta i moncherini che chiama mani alla bocca: non ha dita, solo due palline inutili. Gli occhi le si allungano verso l’alto, come due ovetti di Pasqua… e le sopracciglia si fanno indietro per lasciare posto a quelle palle inutili. “Non vali un cazzo, non me lo tiri neppure, sai? Tutta piatta, tutta chiusa, senza un filo di tette sode, senza fianchi… ma ti sei vista? Come cazzo m’è saltato in mente di prendere te? Dovrei strapparti in mille pezzi.
Tanto più che non hai nemmeno un bozzetto di sedere lì dietro. Dove cazzo te lo metto, eh? Me lo sai dire tu? A che mi servi, stronza di pezza?”. Emilie inizia a singhiozzare lacrime di pailettes – è così che piange quello straccio sporco. Sono lì che mi dimeno sul mio Amore… e mi godo la scena. Big Jim si è alzato in piedi. Big Jim l’afferra per la gola. Big Jim la sbatte sul tavolo, le tira su la gonna, le strappa quelle stupide mutandone da vecchia e… non ci trova nulla.
Solo stoffa, senza lo straccio di un buchetto da prendere a forza. A Big Jim non piace tutto questo. L’afferra di nuovo dal collo. Stringe. Tutti i suoi muscoli di gomma sono tesi allo spasimo; sembra quasi che i gomiti di ferro filato stiamo per stracciare la pelle, in corrispondenza della giuntura. La faccia è diventata mostruosa… la faccia di entrambi. Quella di Big Jim fa spavento. Emilie, violacea, con gli occhi tutti sgranati, le rughe lì accanto evidenziate come solchi tragici, la pelle del collo che sale a formarle un assurdo doppio mento, la bocca storta, platealmente spalancata.
Emilie mi fa ridere. Emilie mi fa impazzire… mi muovo più forte mentre sento che Big Jim ha quasi finito il suo lavoro. Mi muovo più forte mentre ti sento godere. Mi muovo ancor di più quando riguardo Emilie, lì sulla mensola, morta, immobile, sciatta. Mi muovo mentre sento che forte, prepotente, un orgasmo torna a squassarmi. Ansimo forte mentre scendo sulle tue labbra a baciarti. Sei splendido con il sudore ed il piacere che ti distendono il viso, lo rendono luccicante in questa notte che si fa alba, che viene a tingere le pareti di una nuova luce, più bianca… più adatta a lasciare ogni dettaglio vero: il sangue rosso, i miei umori bianchicci, la saliva risacca pulita.
Ti bacio, e tu ricambi sfinito, dopo aver lasciato il tuo seme dentro di me. Tra le lingue che si incrociano, le labbra che si scontrano, i denti che sbattono l’un l’altro… faccio appena in tempo a dirti che “prendo la pillola… sta tranquillo”. Faccio appena in tempo a dirmi che… che il momento è venuto. Il bacio è magia… sarà questo bacio che inizierà ad unirci. Le mie mani passano dal materasso a premere sui tuoi gomiti e, così, piano, inizio a mordicchiarti le labbra, il collo, le spalle… piano, con leggerezza.
Sospiri, sorridi e piano tiri l’aria tra i denti, come a dirmi che un po’ appena un po’ ti fa male. Continuo. So che lo adori. Ma adesso è il momento, è il momento davvero. Calo ancora sul tuo collo, Amore… e questa volta stringo, serro i denti, tra loro la tua carne che sembra quella di una barbie. Serro forte… non devo lasciartiscappare. E’ dura, difficilissimo… lo so Amore, so che può far male, ma, pensa… saremo assieme per sempre.
Nei timpani solo le tue grida, stridule… incredule, irreali. Le tue grida, che, così, non ho mai sentito. Saremo sempre insieme. Sempre. Inizio a sentire caldo in bocca, a sentire pieno di un liquido… salato, ferroso. Scuoti il collo, dimeni la testa… e ancora strepiti, urli note secche, grida di ferro, come unghie sulla lavagna. La pelle ha ceduto, Amore mio… ha ceduto. Inizi ad urlare adesso, un urlo continuo… e le tue braccia impazzite, epilettiche, mi costringono ad alzarmi quasi in piedi su di te, frenarti con tutto il mio peso a letto ed urlare Ti Amo, Ti Amo, anche per coprire la tua voce.
Hai gli occhi impazziti… hai gli occhi che sanno di paura, dipinti di terrore. Calo sulle tue labbra, ora, con la faccia piena del tuo sangue, in una maschera rossa, brunastra, densa, che cola giù seguendo i miei zigomi, il mio mento. Sento il tuo collo spruzzare irregolare sul mio petto tutto il tuo nettare. Calo sulla tua bocca. Che dolce impiastricciarci così le labbra, non trovi? Ti voglio ancora, ancora dentro di me… e il tuo sesso che ancora tengo serrato lì sotto non mi basta: voglio le tue labbra ora.
Mordo ancora, mentre le tue urla si sono fatte quasi insopportabili, canine. Urli disperato, ti contorci… sei diventato difficile da trattenere. Non v’è più stridore nei suoni che lasci andare: si son fatti grugniti rochi, disperati. Non avere paura amore mio, non temere: sarai dentro di me. Quando urli a bocca piena, con il labbro inferiore che ti pende sul mento, aperto, scendo ad afferrare la lingua. Le tue urla si sono fatte di nuovo acute, gracchianti, mentre sento le vene attorno al frenulo, lì, cedere e riempire ancora la mia bocca.
Non voglio berti… voglio assaggiarti piano, in ogni dove, conoscerti tutto e ingoiare piano piano pezzettini di te. Quando anche la lingua è venuta via, amore, rantoli e gorgogli come una macchina che tira su un caffè rosso bruno, schiumoso. No, non puoi spegnerti prima che t’abbia morso anche il petto, proprio dove batte il tuo cuore. Voglio sentire in bocca un pezzo di quella pelle che te lo copriva, sentire giù nel mio stomaco, riflesso, anche solo un po’ del tuo battito.
Quando mordo il capezzolo sento che ancora sospiri… cucciolo di cane sfinito dopo un intervento a crudo, senza anestetico. L’amore lascia che batta ancora il tuo cuore. E io lo sento sulla lingua, uno degli ultimi tuoi battiti, mentre mordo, tiro, stacco. Il tuo naso, ora, le tue labbra di nuovo, e poi i lobi delle tue orecchie… e ancora la pelle dei tuoi zigomi, morbida, quasi gommosa… e ancora i glutei, i talloni duri e i fianchi magri… fino alle scapole ed alla nuca ricciuta.
Mordo, e mordo ancora… il sangue lento, poco, viene ancora fuori per farsi bere… ma non ne ho voglia Amore mio. La tua carne scende giù dentro di me, da nuovo calore… e, per un attimo che ancora dura, mi pare di sentirti ridere, sospirare, parlarmi… lì, dal mio stomaco. Guardo Emilie, inutile, disperato cadavere, lì sulla mensola. “Come la mettiamo, ora, stronza?”. Le sorrido ironica… cattiva, lo so. Quando esco dal bagno della tua stanza è già mattina.
Ho dovuto lavare quelle righe, quelle pozze, quelle macchie rosse che non volevano saperne di venir via. Adesso, alla luce di quest’ora nuova, amore mio, sembri anche più bello. Il tuo letto s’è fatto di lenzuola di rosa… e così, un po’ strappato, mordicchiato, lacero e rosso, così mi piaci di più. Così ti amo di più, Amore mio… così ti amo di più, anche dentro di me!.
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