Ricordi…
rilasciato 18.02.2012 in categoria sesso raccontoEra passato un mese dall'ultima volta che avevano fatto l'amore, ma Alessandro si sentiva come se fosse passato un secolo. Come se fosse stato in galera. Come un detenuto che per decenni ha visto solo culi flaccidi e pelosi intorno a se, e adesso, finalmente, sta per mettere le mani su un bel tocco di carne liscia e morbida.
Non sapeva se per Beatrice era lo stesso. Supponeva di sì. Sperava di sì.
Con tutto se stesso. Perchè l'unica cosa che riusciva a pensare di poter fare non appena l'avesse rivista era di strapparle i vestiti di dosso e metterglielo dentro il più velocemente possibile. Dopo di che le avrebbe sorriso e le avrebbe detto ciao.
Erano mesi ormai che si eccitava come un tredicenne ogni volta che pensava a lei. Ed era un problema serio perchè pensava a lei abbastanza spesso. Da quando aveva deciso di partira per raggiungerla, poi, la situazione era peggioratatulteriormente, invece di migliorare.
Se ne era reso conto definitivamente in aereo, quando a un certo punto, durante il volo, era dovuto andare in bagno per masturbarsi. Si era seduto a cavalcioni sulla tazza, si era aperto la lampo dei jeans, se l'era tirato fuori, duro come un sasso, ed era venuto in meno di un minuto. Dopo, mentre si ripuliva la punta del pisello con un pezzo di carta igienica e guardava il suo sperma colare lentamente dentro al water, aveva pensato che quella era la prima volta che si riduceva così per una donna.
Al diavolo, si era detto tirando lo sciacquone, ne valeva la pena. Lui era sicuro che ne valesse la pena. Dite di no? pensava… bè, dite così perchè non l'avete vista.
Il taxi si fermò davanti agli uffici dove lavorava e lei era là, sul marciapiede, ferma a parlare con due uomini, forse due suoi colleghi, o forse due rompicoglioni. Beatrice era sempre circondata da qualche rompicoglioni. Era inevitabile. Alta e formosa, gonna al ginocchio e tacchi alti, sui quaranta.
Un viso da modella. Capelli non troppo lunghi sciolti e splendenti sulle spalle, con dei riflessi rossi che, lui adesso lo sapeva, erano del tutto naturali.
Gli dava le spalle, per cui non lo vide quando scese dal taxi che lo aveva portato fin lì dall'aeroporto. E gli dava ancora le spalle mentre le si avvicinava lentamente. Aveva deciso di non avere fretta, di camminare con un passo cadenzato, di respirare piano. Ma gli stava tornando duro.
Eh, sì. Inequivocabilmente marmoreo mentre le guardava il sedere sodo, le caviglie sottili, la schiena dritta. E quando le fu più vicino e la sentì ridere per qualcosa che uno dei due rompicoglioni aveva appena detto, dovette lottare per non venire nei pantaloni come un idiota.
Le toccò una spalla, lei si voltò, e sulla sua bocca carnosa e senza rossetto si dipinse una O di sorpresa. Occhi verdi, denti perfetti, pelle abbronzata.
Non fu capace di dire niente, solo quella O muta. Mentre si guardavano Alessandro ebbe una visione fugace: il suo cazzo dritto serrato tra quelle labbra morbide. Ma scacciò subito quel pensiero. Troppo pericoloso. Lei mormorò qualcosa ai suoi coleghi, lo prese per mano e lo portò via con se.
– Ho la macchina qui vicino.
– Bene.
Durante il tragitto si scambiarono pochissime alre parole. Più che altro convenevoli. Come stai.
Come è andato il viaggio. Quando hai deciso di partire. E il desiderio a malapena controllabile di accostare immediatamente al marciapiede e cominciare a mettersi le mani dappertutto.
– Perchè non mi hai avvertito?
– Volevo farti una sorpresa.
“Ci sei riuscito”.
“Lo so”.
Adesso era sicuro che per lei era lo stesso. Se ne era accorto da come lo aveva guardato quando si era girata. Da come continuava a guardarlo adesso.
Da come gli aveva preso la mano, che aveva subito cominciato a sudare. E dal respiro, che si era fatto veloce.
E in effetti era proprio così, Alessandro non si sbagliava. Beatrice aveva cominciato a liquefarsi un istante dopo esserselo ritrovato davanti. Quando erano arrivati a destinazione ed era scesa dalla macchina, aveva controllato il sedile perchè temeva di averci lasciato sopra un'impronta umida.
Gli fece strada sul vialetto di casa. Davanti alla porta prese le chiavi dalla borsa ed aprì.
Lo fece entrare, richiuse la porta, e dopo un secondo sentì la lingua di lui scivolarle dentro la bocca. Ebbe voglia di mettersi a gridare per la felicità. Lasciò cadere la borsa a terra, gli prese la testa tra le mani e rispose al bacio con foga. Stretti l'uno all'altra finirono contro la parete. Alessandro si strusciò con forza contro di lei, per farle sentire quanto era eccitato. Lei gli rispose immediatamente, andamdogli incontro col bacino.
Cazzo dritto e monte di venere si sfregarono a vicenda attraverso un duplice strato di stoffa. Sono pronta gli stava dicendo lei con tutto il corpo, mentre la sua mente urlava la stessa cosa: sono tua, prendimi, ti satvo aspettando, speravo che tu venisssi, lo speravo tanto. Prendimi e fammi quello che vuoi, quaunque cosa, qualunque cosa…
Le infilò le mani sotto la gonna. Era senza calze, faceva caldo. Le mutandine di seta erano una barriera ridicola, gliele strappò senza nessuna fatica, sentendo che erano fradice.
Fradicia come era diventata lei in mezzo alle gambe. Le sarbbe entrata facilmente una mazza da baseball tanto era bagnata.
Senza tanti preamboli Alessandro le infilò un dito dentro la fica. Subito la sentì gemere e aprire di più le gambe. Allora ce ne mise un altro e con due dita unite prese a sfregarle l'interno della vagina. Quando uscì e le stuzzicò il clitoride Beatrice fece un gridolino, gli mise un ginocchio attorno al fianco e gli ficcò le unghie nel collo.
– Se fai così ora, che farai dopo, quando te lo sbatterò dentro?
Alessandro credeva di averla solo pensata, ma poi si rese conto di averla detta sul serio quella cosa. Cazzo! Gliel'aveva appena sussurrata nell'orecchio quella frase! Loro due scopavano da poco tempo e non erano ancora arrivati al punto di sussurrarsi sconcezze mentre lo facevano. Non c'era ancora tutta quella confidenza tra loro. Un pò preoccupato si scostò per guardarla negli occhi, ma lei non sembrava essersi scandalizzata, anzi.
Lo stava fissando con uno sguardo liquido e famelico. Allora, mentre con i polpastrelli continuava a massaggiarle piano il clitoride con dei movimenti circolari, glielo ripetè: – Allora, che farai?
– Fallo. Poi vedrai.
Con un grugnito smise di toccarla e iniziò a sbottonarle la camicetta. Poi il reggiseno, che aveva la chiusura sul davanti. Uscirono libere le tette e… Gesù, erano identiche a come se le ricordava… Macchè, molto più belle. Quella donna aveva le più belle e le più sexy tette del mondo.
C'era da impazzire solo a guardarle. Erano grosse e piuttosto pesanti ma stavano dritte in un qualche modo che lo sapevano solo loro come ci riuscivano. Sfidavano la legge di gravità. Sembravano guardarti e dirti strizzami, stringimi forte, fammi male…
– Toccami.
Lo fece. Le prese tutte e due tra le mani e le strinse forte. Erano lisce dure. E calde, molto calde. E i capezzoli dritti e rossi, anche loro sembravano parlare: prendimi in bocca.
Succhiami e tirami dicevano. Fece anche quello. Si abbassò, ne prese uno in bocca e cominciò a succhiarlo, a leccarlo e a mordicchiarlo piano. E a strizzarlo tra le labbra e…
Ormai si sentiva il cazzo scoppiare ed era convinto di non avercelo mai avuto così gonfio e dolorosamente duro in tutta la sua vita. Aveva paura di venire da un momento all'altro. Anzi, non riusciva a capire come avesse fatto fino a quel momento a non schizzare di seme dappertutto in quel soggiorno, o quello che cavolo era, che non sapeva più neppure dove si trovava.
Proprio mentre pensava questo sentì le dita di lei che lo frugavano da quelle parti. Si scostò leggermente e la lasciò fare. Beatrice lo cercò con mani frenetiche, probabilmente non ce la faceva più nemmeno lei. Glielo tirò fuori dalla chiusura lampo e sospirando abbassò la testa e lo guardò. Era grosso, un bel pene virile di dimensioni più che rispettabili. Una vergine si sarebbe anche potuta spaventare guardandolo. Un vergine o una fica tropppo stretta.
E Beatrice non era nè l'una nè l'altra. E non aveva paura. Lo conosceva bene. Sapeva cosa era capace di farle Alessandro con quel suo cazzo e non vedeva l'ora che si mettesse all'opera.
– Ale… – mormorò, e gli ficcò la lingua dentro l'orecchio.
Dapprima fu delicata nell'accarezzarlo. Fece scorrere la mano su e giù lentamente, sfiorandolo appena. Poi usò un pò più di forza e a un certo punto lo strinse con fermezza, come per dire: questo è mio.
Schiacciò il glande tra pollice e indice. Era umido e arrossato e sembrava pulsare, come se avesse una vita propria. Poi se lo strinse tra il palmo della mano e la pancia. Alessandro, che a quel punto non ne poteva più, emise un suono soffocato. Le mise le mani sul sedere e la sollevò da terra. Non conosceva quella casa, era la prima volta che ci metteva piede, ma anche se avesse saputo dov'era la camera da letto probabilmente non ci sarebbe andato.
Entrando aveva notato un grande divano bianco, si diresse lì. Prima di adagiarvi sopra la sua donna le tirò su la gonna per bene, fino alla vita. Mentre si toglieva le scarpe e si liberava dei pantaloni non riuscì a staccare gli occhi da quel triangolo perfetto di peli fitti e ricci. Vedeva delle goccioline di liquido brillare tra i riccioli scuri e gli venne voglia di gettarvisi sopra per leccargliele via, e farle un bel servizio di pulizia.
Ma Beatrice lo stava aspettando con le cosce allargate e non si sarebbe accontentata di una lingua. Stendersi su di lei ed entrarle dentro fu un tutt'uno. La penetrò a fondo, fino a che non sentì che più avanti di così non ci sarebbe potuto arrivare. E a quel punto si rese conto che lei stava già avendo un orgasmo. Cominciò ad agitarsi contro di lui gemendo senza sosta, sfregando le pareti della vagina su quel membro che l'aveva riempita completamente.
Alessandro si godette la senzazione di quella fica dolcissima che si contraeva convulsamente massaggiandogli il pene dall'interno, stringendolo e rilasciandolo, stringendolo e rilasciandolo… Cominciò a muoversi anche lui. Si ritrasse e spinse, lentamente ma con decisione, ogni volta andando sempre più a fondo, fino a che sentì che con la punta del cazzo era arrivato a sfiorarle l'utero. Poi tornò indietro più che potè, stando attento però a non uscire del tutto. Lasciò dentro solo la cappella e restò così per qualche secondo.
Quando riaffondò dentro di lei lo fece con una certa potenza. Beatrice lanciò un grido sentendosi penetrare con tanta risolutezza, ma si riprese subito dalla sorpresa. Si aprì del tutto e si lasciò andare al piacere come non le era mai successo prima di conoscere quell'uomo. Fu travolta dalle sue spinte, che arrivavano una dietro l'altra, e ogni volta, quando credeva che fosse arrivata l'ultima, ce n'era sempre un altra, ancora più forte e prepotente della precedente.
La sua coscienza venne spazzata via, perse la cognizione del tempo e dello spazio. Ebbe un orgasmo dopo l'altro e alla fine rimase stremata e stordita.
Dopo qualche decina di colpi di reni, via via sempre più vigorosi, si lasciò andare anche lui. Fu l'esplosione di un vulcano e Beatrice, che intanto continuava a venire mugolando senza ritegno, sentì fiotti di sperma inondarle l'interno della pancia: uno, due, tre… poi perse il conto.
Si strinse a lui, allacciandogli le gambe sulla schiena, mentre sentiva un fiumiciattolo di liquido biancastro colarle tra le gambe e andare a imbrattare i cuscini del divano. Non gliene fregava niente. Non era neanche suo quel divano, quella casa era in affitto.
Non gli permise di uscire, lo tennne ben saldo dentro di se fino a che non sentì che ridiventava duro.
– Mi sei mancato – gli disse, ricominciando a muoversi.
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