la casa delle bambole
rilasciato 11.07.2016 in categoria sesso raccontoDicono che le mosche mi donano, che mi ravvivano gli occhi spenti. Dicono che vestito di lividi sto molto meglio, che la mia pelle bianca acquista subito colore e lucentezza. Che ho bisogno di fumare meno, perché altrimenti mi si cancella l’odore di cenere vitale. Che si sente solo il tabacco e non sembro più uno spettro. Che i miei occhi sono lune in totale eclissi. Sono bello, solo se morto. Dicono che devo mangiare meno, perché temono che le mie guance perdano il loro fascino, quel fascino di essere così scavate, di sembrare solchi.
Perché è così tanto cool essere la vittima, quando mi è concesso essere il carnefice? Perché essere sempre il carnefice non è così appagante? Perché gli esseri umani creano sempre problemi attorno a loro, che sono via via sempre più grossi e disturbanti?
Nulla è semplice. Anche la cosa più elementare può essere discussa. Uno che non ha studiato matematica può mettere in discussione il fatto che due più due faccia quattro, può non essere d’accordo.
Nulla è sincerità. Così anche noi siamo costretti a mentire. Sempre. E a picchiare duro. A non dare nulla per scontato. Rappresentiamo tutti la solita leggiadra sinfonia di latex, ridotta ad un carnevale orribile. Grottesca, magnetica e acida poesia di cianuro, sia Fatta la tua Volontà. Che sia un anno, un giorno, un mese soltanto, chiudimi gli occhi e cullami. C’è troppo rumore. C’è troppo rumore. Non vedo più nemmeno il cielo blu che mi si scagliava davanti poco fa, è tutto solo disordine, la mia anima mi fa un male cane.
Ho le mani troppo fredde e il mio viso, quasi, si fa tristemente impalpabile. Spettrale. Suono alla porta dei miei nuovi clienti. Malvina mi ha chiesto di farle questo favore. Non c’è limite alla degradazione dell’essere umano. Una coppia sposata di slave che vive sui navigli. Una bell’appartamento borghese sopra un centro massaggi thailandese. Mi aprono quasi subito. Lei è una donna sulla quarantina, che tuttavia si porta bene i suoi anni e ne dimostra almeno dieci in meno.
Ha i capelli sciolti, che cadono sulle spalle di un nero corvino, quasi irreale. In reggiseno e mutandine, tiene il suo maritino cinquantenne borghese legato ad un guinzaglio di pelle. Nudo e con il culo all’aria. Ho il cuore della bestia in mano. “Pensavo foste due slave…” sussurrò sull’uscio. “Mi piace fare entrambe le cose, oggi però sono piuttosto cattiva. Entra, dai. ”
Un mezzo inchino e entro, mentre il verme mi si appiccica alle caviglie, gridando “Padrone…”, poi si rivolge alla moglie: “Padroncina, grazie per aver scelto un padrone così bello…”.
Lei risponde con un calcio dritto sulla colonna vertebrale. Rantola. “Padrona! Chiamami padrona, schifoso bastardo !”
“Sì, padrona…la chiamo padrona” finge di essere dispiaciuto, fa quasi pena, ma gli sputo sui capelli. La donna guarda divertita: “Sapevo che di te ci si poteva fidare…Io sono Cherry e lui è Cane bastardo. ” “Piacere…Davide” dico, sputandogli ancora addosso, ma questa volta sulla schiena nuda, dilaniata da lividi violacei grandi quasi quanto pugni.
Mi slaccio la camicia, mentre il verme grasso mi chiede se mi può leccare il petto nudo.
Altro calcio dritto sulla schiena. Cherry è davvero malvagia, e mi piace. Se non avessi iniziato a scoparmi gli uomini per soldi, mi sarei già avvinghiato alle sue tette e le avrei ficcato dentro la mia verga. Ora come ora lo desidero ancora, ma sarebbe solo una sfida personale, sarebbe esigenza professionale. Nessuna fottuta tensione erotica. Nessun fremito. Nessun ormone impazzito per la carne flebile.
“Hai fame?” sussurra Cherry, tirando forte il guinzaglio.
E il cane bastardo torna ad emettere i suoi insopportabili lamenti. Annuisco. In effetti mi sono dimenticato di pranzare.
“Allora” riprende Cherry, accarezzando la linea del culo di Cane Bastardo con l’alluce destro “Mentre noi due ci conosciamo meglio, questo pezzo di merda ci preparerà da mangiare. ”
Requiem per la dignità umana.
Cherry si è seduta da parte a me, sul divano bianco di pelle e si sta infilando un paio di scarpe laccate rosse, in contrasto con la biancheria intima di pizzo nero, dal tacco vertiginoso.
“Hai mai lavorato con un altro master?”
“No…” “Devi abituartici” mi palpa il membro, cerco di non farci caso e provo a guardarla dritto negli occhi, ma lo sguardo finisce sul cavallo dei miei pantaloni neri. Sono a torso nudo e nonostante sia agosto, sento una strana sensazione di freddo. “Devi capire che ora non puoi comandare solo tu… devi entrare in simbiosi con me. Dobbiamo decidere gli ordini insieme. Sembra poco divertente, ma in verità è una cosa irresistibile.
Quando si è coalizzati, si infligge ancora più dolore. Funziona nel sesso, come nella vita…” “Ho capito…”
“Sai che io spesso sono sadomasochista non perché mi piaccia, ma perché accetto la funzione del dolore nella vita quotidiana? Anche quando pensiamo di fare una cosa giusta, quella cosa può ferire una persona, farle del male. Se c’è una cosa che odio è la sofferenza, la tortura sia fisica che psicologica. Detesto tutto questo. So che possa sembrar strano, ma odiando il dolore, non c’è niente di più bello del provocarlo su qualcuno a cui piace riceverlo.
La vedo come una forma di amore. ”
“E perché vuoi essere anche una slave?”
“Perché, a volte, voglio punirmi, voglio punirmi per ciò che non posso perdonarmi. Un essere umano va punito con la cosa che più lo terrorizza. ”
“Non trovi sia una cosa esagerata?”
“La vita è esagerata. Tu, invece, immagino faccia il master per soldi e basta. ”
“Da cosa lo intuisci?”
“Dal fatto che io sono sadomasochista nella vita privata.
A te, invece, si legge in faccia l’avidità. ”
“Ed è una cosa brutta?”
“Lo capisco. Ti stai autopunendo, non è vero?” “No…”
“Sì, invece. Vuoi rovinarti la vita perché c’è qualcosa che non puoi perdonarti. Guarda mio marito, si sta appassionando al sadomasochismo perché ha portato allo sfascio la nostra vita coniugale. È stata la perversione a salvarci. Io non sono più gelosa e lui non mi picchia più, se non nella sfera erotica, e solo a volte.
Prima ci odiavamo, ora ci amiamo alla follia. E trattarlo male qui, con te, è un’altra forma d’amore. ” “Dovete ferirvi per amarvi?”
“No, dobbiamo essere cani. ”
“E io cosa sono? Un vostro oggetto sessuale?”
“No. Tu sei un master, non puoi essere l’oggetto. Tu sei il catalizzatore di tutto il male. Sei il Dio che viene venerato. Quando fai sesso da master, ti senti onnipotente e vorresti esercitare tutta la tua rabbia su uno sconosciuto.
È quando tutto finisce che torni te stesso, e scoppi irrimediabilmente a piangere. Vogliamo essere cani, ma l’umanità, purtroppo, torna sempre”.
La bacio sulla guancia, mentre una lacrima le corre sul viso. È una donna. Una donna con il suo cane. A passeggio. Canto la desolazione degli esseri umani, soffocati da infiniti palazzi grigiastri e decadenti. Un mio amico mi aspetta sotto la casa della coppia sposata. Ascolta della musica, seduto su una panchina davanti al centro massaggi thailandese.
I Joy Division. Mi sono scopato Cherry, mentre a Cane Bastardo era stato ordinato di leccarci nell’esatto punto dell’amplesso. Si era eccitato così tanto che voleva ficcarmelo in bocca, ma gli ho sputato in faccia e ha dovuto ingoiare il mio, senza che io potessi staccarmi dalle labbra della donna. Era lavoro, non sentivo il minimo piacere fisico. Non sono più un essere umano. Sono un cane.
L’amore non esiste. L’amore è lo schifo che servirebbe ad allietare il tedio, ma che in verità lo fa solo venire.
Il sesso è una cosa molto più meccanica, una sorta di professione. Catena di montaggio. Movimento rapido di natiche. Il pene che va avanti e indietro, avanti e indietro. Girare bulloni. Baaang bang bang bang bang. Carezze occasionali, come quando si olieggia un po’ la macchina arrugginita. Baaaaaang bang bang bang bang. E poi la sborra. O gli umori femminili. Un po’ come quando viene impacchettato l’oggetto costruito. E poi via, c’è il secondo oggetto.
Ho inculato il marito di Cherry con un cetriolo, mentre noi ci baciavamo ancora. Aveva l’ano più largo che avessi mai visto. Cherry mi ha detto che si infilava sempre la cintura che usano le lesbiche per scopare, per sodomizzarlo a sangue. Sto contando conto i soldi. Sta fumando una sigaretta. Seduto da parte a lui c’è un gatto orbo e spelacchiato, brutto, grasso, probabilmente castrato. Con la mano che non è occupata dalla sigaretta, Thomas lo accarezza con garbo.
Ha la malinconia che gli solca il viso. Un graffio inguaribile che si cicatrizza il contrario. La malinconia è il morbo degli oppressi. Ti spinge a pensare quando vorresti solo staccare il cervello e non pensare assolutamente a niente. Brutta puttana.
“Com’è andata?”
“Mah…interessante…” sussurro un po’ scazzato, mentre mi allaccio gli ultimi bottoni della camicia.
“Ci dobbiamo trovare con Erika stasera. ”
“Stasera?”
Sinestesia sotto acido. Ho la testa che mi gira.
“Sì, lavora al bloody Mary, quando non fa la mistress. Ha detto che ci paga da bere. ” Mi accendo una sigaretta.
“Poi possiamo fare il classico ritrovo a casa sua…” Thomas ha delle occhiaie grandi come lune. Sono il suo cuore spezzato. Parla con la bocca tremula. “…per parlare del nostro lavoro. ”
Erika è una mistress che abbiamo conosciuto quando siamo andati a comprarci del fumo, una volta, in stazione.
Abbiamo riconosciuto subito la sua indole psicoromantica. Aveva delle scarpe con il tacco troppo alto, di nero laccato. Ci siamo fermati a parlare e i suoi occhi ci precipitavano addosso come meteore. Solo che quando sei una donna che fa lo stesso lavoro di me e Thomas è molto diverso.
Se sei un uomo, finisci solo da porci con il culo alzato, pronti a divinizzare il tuo prepuzio, con la stessa verve di una bambina che guarda ammirata un gattino dormiente nella vetrina di un negozio di a****li.
Se sei una donna, hai più possibilità di trovare gran pezzi di gnocchi, oppure lesbiche cattive, ma lo squallore è sempre lo stesso. Ciò che divide la soddisfazione dalla libertà non è l’organo sessuale umano.
“A te com’è andata?”
“Davide, come deve andare? Uno schifo, come sempre… mi sento sempre più vuoto”
“E dire che sei stato tu a far partire tutto. ”
“No, non è vero…sei tu che hai avuto l’idea”
Thomas cercava il principe azzurro.
Connesso ventiquattro ore su ventiquattro su una chat gay erotica, aspettando che qualcuno gli scrivesse senza chiedergli della circonferenza delle chiappe sode o della misura del fallo eretto. Quelle persone erano tutti crudeli cristalli destinati al crollo. Poi un sessantenne gli ha scritto testuali parole:
“Ti trovo tremendamente sexy. Hai un viso così angelico e infantile, che deturparlo sarebbe un piacere. So di non piacerti, che sono troppo vecchio, ma posso pagarti. Ti vanno bene 100 euro per due ore?”
“Il tipo di oggi” sussurra Thomas, toccandosi la gola “Mi ha chiesto di strangolarlo.
Voleva provare la sensazione di essere ucciso dalla persona a cui è più devota. ”
“E tu l’hai fatto?”
“Sì… ma mi sono fermato quasi subito. ”
“Perché? Perché fai tutto quello che ti chiedono? Devi insultarli…devi sbattertene! Puniscili! A loro piace quello no? Sembri tu lo slave a volte, io non capisco…”
“Lo stavo facendo perché volevo che accadesse! Lo capisci, Davide? Lo volevo morto…” ha alzato la voce e mi ha spento la sigaretta sulla mano.
Faccio una ridicola una smorfia dal dolore.
“Ma che cazzo fai?”
“Voglio ucciderli tutti, Davide! Voglio ucciderli tutti!”
Apro gli occhi e sussulto. Questo non è il Thomas che io conoscevo. “Thomas…”
“Voglio farli a pezzi. ”
Dopo aver letto quel messaggio, Thomas andò a letto con quell’uomo e fu così che partì tutto. Gli dissi che era un buon metodo per fare soldi, che sarebbe stato semplice raggranellare il denaro necessario per un appartamento e l’immatricolazione all’accademia e, nonostante il suo rifiuto iniziale, guadagnammo i primi cento, duecento euro.
Non avrei mai pensato che avrei perso totalmente la capacità di amare. E invece è successo. Erika, invece, non ha mai amato. È sul retro del locale con il suo fisico quasi anoressico, a fumarsi una sigaretta tenuta con eleganza tra l’indice e il medio, vestendo un vestitino corto bianco e scarpe con il tacco alto. Ha delle grandi occhiaie e i capelli castani, lunghissimi e lisci, che le cadono addosso come pioggia. Lei non lo fa per soldi,no.
Nemmeno per perversione, no. Lei è la più profonda ed inesperta consacrazione incarnata dell’ideale della viscida dolcezza.
Keine Kommentare vorhanden