Tramonto II
rilasciato 02.05.2017 in categoria sesso raccontoCosa stava facendo? Non si riconosceva più… All’inizio pensava fosse solo una curiosità da parte sua, innocente, senza conseguenze. Poi aveva sbirciato oltre quel labile confine del moralmente accettato ed era stata risucchiata. Mentre percorreva a grandi falcate il nuovo mondo era fermamente convinta di riuscire a tornare alla sua normalità in qualunque momento. Ma allora che ci faceva lì? Era metà mattina e non aveva un appuntamento, eppure si trovava a guardare quel vecchio portone al di là della strada.
Era un caso che era semi-nascosta dietro un suv? Per niente. Si vergognava di essere lì, ma non riusciva a farne a meno. Continuava ad essere indecisa se attraversare la strada ed andare a suonare al campanello con la targhetta sbiadita. E se le avesse aperto?! Cosa avrebbe detto? Come giustificarsi? Che poi non era neanche detto che fosse in casa, dal di fuori non si intuiva nessun movimento, quindi magari…
In quel momento il pesante portone si aprì e lui apparve in strada, a lei venne un colpo quando le parve che l’avesse vista e si appiattì, per quello che poté, addosso alla macchina.
Sempre più stupida, pensò tra sé mentre si malediceva per la sua reazione. Prendendo un minimo di coraggio guardò attraverso i finestrini per capire se lui l’avesse effettivamente riconosciuta. Non sembrava, stava camminando nella direzione opposta, fino a sparire dietro l’angolo.
Alla fine si era rivelato tutto inutile essere andata fin sotto casa. Era più che plausibile che non sarebbe tornato a breve e non poteva mica starsene lì in strada per delle ore per poi finire di nuovo a chiedersi se era il caso di suonare al campanello.
Sovrappensiero iniziò a camminare, era solo un caso che si stesse dirigendo nella stessa direzione di lui. Arrivata alla svolta, senza accorgersene, diete un’occhiata proprio per quella via e lo vide in lontananza camminare con calma. Ancora una volta si sorprese nello scoprire, come osservandosi dall’esterno, quasi se non avesse il controllo di sé, che lo stava seguendo, da molto distante, non per raggiungerlo, ma per vedere effettivamente dove era diretto. Si fermò a comprare un quotidiano e poi riprese a camminare fino ad arrivare ad un bar, si sedette ad uno dei tavolini all’esterno ed iniziò a leggere.
Ed ora? Lui si era fermato, lei era nascosta dietro un albero, che patetica, una stalker del peggior tipo, proprio senza dignità, solo questo le passava in mente mentre lo vedeva lì fermo mentre spiegava le grandi pagine o mentre dava il suo ordine al cameriere. Che fare? Era in pubblico, troppa gente, doveva andare via, se qualcuno che la conosceva l’avesse vista sarebbe stato difficile dare una spiegazione, o magari poteva rimanere nascosta lì ed aspettare che lui tornasse a casa… ma non c’era nessuna garanzia che sarebbe andato e poi, tra quanto?
Basta, si disse, ed iniziò a muoversi verso il bar a passo deciso.
Man mano che si avvicinava però, si rese conto che non sapeva cosa dire ed inconsciamente rallentò l’andatura. In testa le giravano solo le frasi fatte più scontate e prevedibili, troppo sciocche per essere dette. Ormai era arrivata di fronte a lui, che non l’aveva ancora notata, si fermò, lo guardò da vicino, era agitata e pronta a scappare via ed invece le uscì un balbettante:
“Ciao. ”
Lui alzò gli occhi dall’articolo, la guardò con aria impassibile e poi tornò a leggere.
Cosa significava? Perché non le aveva detto nulla? Doveva andare via? Doveva restare? Doveva dire qualcosa? Ma cosa? Si guardava attorno per la paranoia che qualcuno che la conosceva l’avesse vista lì, che poi stare impalata di fronte a qualcuno seduto attira di più l’attenzione, nella smania scostò una sedia e gli si mise seduta davanti. Ora andava meglio, ma diventò un fascio di nervi quando le parve di scorgere un sorriso sulle sue labbra.
Gli voleva dire qualcosa, giustificarsi, spiegarsi o perfino attaccarlo per quel sorrisetto ma nel momento in cui stava per farlo le comparve di fianco il cameriere
“Posso portare qualcosa alla signora?”
Eh? Stava parlando con lei? Cosa dire? La prima cosa che le venne in mente
“Un latte macchiato freddo… per favore. ”
“La signora prende solo un tè freddo alla pesca, grazie. ”
Le parole secche di lui stupirono gli altri che lo guardarono interrogativi, poi si guardarono tra loro e lei annuì abbassando lo sguardo dalla vergogna per la situazione.
Quando il cameriere si allontanò non ebbe il coraggio di dire nulla, le sembrava che aver cambiato il suo ordine era per mettere di nuovo in chiaro i loro ruoli, anche al di fuori di quella stanzetta spoglia. Il tè arrivo in breve e per prima cosa lo assaggiò per evitare di dare l’impressione che non apprezzava ciò che lui aveva ordinato per lei. Era buono, ne prese un altro sorso e si distese un minimo, abbastanza per farle alzare di nuovo lo sguardo verso di lui che continuava, imperterrito, a leggere.
“Passavo da queste parti per caso e ti ho visto seduto qui…”
Iniziò lei, lui non si mosse, non disse nulla
“Bella giornata… per fortuna ho la mattinata libera…”
Niente, nessun effetto, non sembrava nemmeno disturbarlo nella lettura
“… mi stavo chiedendo… sei libero?”
Si sentiva andare a fuoco per la spudoratezza delle sue parole, quando alzò il viso e la guardò con quello sguardo duro, le tornarono in mente tutti i modi in cui la puniva e le si gelò il sangue pensando che avrebbe potuto punirla lì, davanti a tutti.
Si guardò attorno per controllare se qualcuno li stesse guardando, quando tornò a guardare lui intimorita, vide di nuovo quel suo sorrisetto
“Perché non mi dici il vero motivo per cui mi hai seguito fin qui?”
Lui sapeva! L’aveva vista sotto casa! Cosa dire? Che imbarazzo! Sembrava davvero una stalker allora. Continuava a fissarla, era passato troppo tempo da quando le aveva fatto la domanda, doveva rispondere qualcosa
“… è che… come ti dicevo… ho la mattinata libera… ed ho pensato che se anche tu… magari…”
Continuava a guardarla impassibile ma lei leggeva in ciò un rifiuto
“Lo so che non avevamo un appuntamento, sarai sicuramente impegnato- abbassando per un attimo lo sguardo e poi tornando alla carica -Ma se sei libero magari… Ti pago!”
Ed infilò una mano nella borsa che teneva sulle gambe, non ci credeva che aveva detto una cosa del genere.
Pagarlo, come una disperata! Lui rimase ancora impassibile.
“Il vero motivo. ”
Tre parole, ben scandite e poi il silenzio.
Il vero motivo. Era andata fin lì senza pensarci, forse proprio perché non aveva pensato che lo aveva fatto. Aveva seguito l’istinto, aveva sentito quella necessità, per giorni, già subito dopo il loro ultimo incontro, aveva persino provato a contattarlo su quel sito, ma lui non rispondeva, e più passava il tempo e più sentiva di non resistere più.
Sentiva la necessità viscerale di essere legata, costretta all’immobilità incondizionata per poi far uscire finalmente quella parte nascosta nel suo profondo. Voleva che quelle mani, forti e ferme, la muovessero come se fosse senza peso, voleva essere posseduta, totalmente, da lui.
Il suo sguardo si accese per la rivelazione interna.
“Voglio essere posseduta da te. ”
Ormai lo aveva detto, se qualcuno l’avesse sentita non le importava, le importava soltanto sapere se la sua voglia sarebbe stata soddisfatta.
Il sorriso di lui si fece meno beffardo, si alzò, lasciò i soldi ed il giornale sul tavolo e si incamminò verso casa, lei allibita, senza neanche essere convinta che potesse, lo seguì, ad un passo di distanza. Un tragitto così breve sembrò infinito a quell’animo così agitato, ma presto furono nell’atrio, e poi in cima le scale ed infine dietro l’uscio.
Lui si tolse le scarpe e le lasciò vicino la porta e poi rimase a fissare lei imbambolata.
Tranne che per il loro primo incontro era abituata ad entrare in quel corridoio da sola, e sempre da sola, dopo qualche incontro in cui aveva fatto la conoscenza iniziale di quel mondo, si spogliava completamente. Ora invece le stava di fronte e la fissava, in qualche modo si vergognava di più nello spogliarsi che nel restare nuda, era il passaggio dalla vita normale a quella che viveva soltanto lì dentro che la imbarazzava.
Al solo pensiero di ciò che avveniva nella stanza lì vicino le si accese un calore nel ventre. Sarebbero successe di lì a poco quelle stesse cose ed iniziò a spogliarsi, senza però guardarlo, facendo finta di essere sola. Quando fu nuda il suo stato mentale era cambiato, era tranquilla, era entrata negli schemi della sua parte, ora sapeva cosa fare. Lui si mosse di lato per lasciarla passare e le andò dietro entrando nella stanza.
In quell’istante non vide più nulla per la mano di lui che le bendava gli occhi stringendola contro il petto, per lo stupore urlò ma l’altra mano le bloccava già la bocca. Si sentiva soffocare, non riusciva a muoversi, cominciava a sentire dolore, nel panico cercò di afferrarlo dai polsi per liberarsi ma lui l’alzò di peso, lei che non capiva più nulla cercò di sbracciare per divincolarsi ma scoprì che lasciare la presa le faceva ancora più male e rimase aggrappata alle braccia di lui mentre sentiva di essere spostata.
Non capiva più nulla, era appesa alle braccia e veniva spostata così dolorosamente, senza la possibilità di divincolarsi. In un istante la su mente percorse tutti gli scenari, anche i più nefasti, che stupida ad affidarsi così completamente ad un perfetto sconosciuto, moralmente emarginato dalla società ed ora ne pagava le conseguenze. Le mani di lui la stringevano forte e se lei avesse lasciato la presa lui avrebbe stretto ancora di più per tenerla sospesa ed avrebbe sentito tutto il suo peso tirarle il collo, quindi preferiva tenersi aggrappata a lui ed aiutarlo a farsi portare verso il patibolo.
Quando i suoi piedi poggiarono di nuovo a terra non ebbe neanche il tempo di provare a divincolarsi che le parve di cadere, portò le braccia avanti per parere il colpo ma lui l’accompagnava saldamente a terra.
Le liberò la bocca e la vista.
“Sei impazzito?”
Urlò, ma nonostante le parole il suo tono era di chi è spaventato fino alla disperazione. Era sempre nella loro stanza speciale, vicino al mobile, stesa faccia a terra, non lo vedeva, ma lo sentiva su di sé a bloccarla.
Le mise un ginocchio tra le scapole e si poggiò con la maggior parte del peso
“Zitta!”
Con la gabbia toracica così compressa non riusciva a respirare, era peggio che soffocare con un bavaglio. Cosa stava succedendo? Era uno dei loro soliti incontri o qualcosa di molto peggio? Con la coda dell’occhio lo vide prendere delle corde, senza molti complimenti le fece scorrere la corda ruvida sui polsi dietro la schiena, più e più volte, fino a legarla saldamente.
Solo in quel momento le tolse il ginocchio dalla schiena e finalmente tornò a respirare, era agitata oltre ogni misura e le era mancato così tanto l’ossigeno che i suoi respiri corti e frenetici sembravano soffocarla ancora di più. Nel frattempo lui le aveva legato le caviglie e si era allontanato, lo guardava attraverso i capelli che le si erano appiccicati al sudore del viso, lui con la solita espressione la fissava mentre si sbottonava con calma la camicia fino a rimanere a torso nudo.
Prese il capo della corda che pendeva dalla carrucola dal soffitto e si diresse verso di lei.
“No, no…”
provò ad opporsi e persino a rotolare via da lui, ma quando la raggiunse, con un semplice strattone alle caviglie distrusse tutte le sue resistenze ed iniziò a lacrimare silenziosamente, mentre lui univa la nuova corda con quella che già si trovava sulle gambe.
Era così che doveva finire? La sua intera vita, i suoi figli, suo marito, non li avrebbe più rivisti a causa della sua perdizione, per quella sua parte oscura che li avrebbe ricoperti di vergogna e sdegno, una volta che avessero scoperto il motivo per cui era lì.
Aveva un groppo in gola, non respirava, piangeva soltanto, disperata ed ormai abbandonata al suo destino.
“No…!”
L’unica cosa che riuscì a dire quando sentì di essere tirata dalle gambe. Lo cercò con lo sguardo, era vicino la finestra a tirare la corda senza strattonare, ma con un movimento fluido che faceva tendere uno dopo l’altro tutti i muscoli delle braccia e del torso. Lei strisciava a terra, con i piedi che cominciavano a puntare al soffitto, verso la carrucola.
La pelle umida di sudore si attaccava al parquet, si tendeva e poi scivolava al limite dell’escoriazione, cercava di muoversi, rotolare per attenuare il dolore, fino a quando non ebbe le braccia sotto la schiena e le gambe ormai rivolte al cielo.
“Ti prego…”
Ma lui tirò ancora, staccandole le natiche dal pavimento, e tirò ancora facendola poggiare solo con le spalle e la nuca a terra, ma finalmente alleviando il dolore alle braccia.
Assicurò la corda e le si accovacciò affianco
“Sei tu che sei venuta da me e volevi esattamente questo. ”
Non era affatto così, non era vero, lei non voleva… Come se le avesse letto la mente, lui riprese
“Guarda- afferrandole un capezzolo e massaggiandolo appena -lo vedi che sei eccitata?”
Con il mento poggiato sul petto a stringerle la gola guardò i suoi seni, non ci credeva, ma era vero, i suoi capezzoli erano turgidi, era diventata davvero perversa.
Riacquistata la calma percepiva nettamente che il suo grembo caldo attendeva solo un piccolo segnale per diffondere quel calore, non dovette aspettare. La mano di lui, larga e maschile, si fece strada tra le cosce morbide ed iniziò a massaggiarle, chiuse gli occhi e lasciò andare un sospiro, era diventata irrecuperabilmente perversa ma non voleva pensarci in quel momento, voleva godersi ogni istante fino al suo rientro nel mondo normale.
Il massaggio di lui diventava sempre più forte, sempre più intenso, quando la penetrò con due dita lei si risvegliò da quel torpore estatico e cercò il suo viso, sentiva gli occhi gonfi dal sangue che le si accumulava in testa e la sua visione era appannata, ma non riusciva a smettere di guardare il solo che le faceva raggiungere quel grado di piacere.
I movimenti veloci di lui rivelavano con un suono inconfondibile quanto fosse bagnata, il ché la faceva eccitare ancora di più. Lui la guardava dall’alto in basso con quell’espressione ferma ed impassibile, ma lei era sempre più eccitata, fino ad iniziare a ruotare il bacino per giocare il proprio ruolo in quella stimolazione.
Troppo sangue alla testa ed anche i suoni cominciavano a confondersi, chiuse gli occhi e si abbandonò completamente a lui.
Sentiva che i suoi umori le colavano addosso, indiscriminatamente sul ventre o sulla schiena, era pronta ad accogliere quell’orgasmo che le stava montando dentro. Poi più niente, non sentiva più la sua mano tra le cosce o dentro, aprì gli occhi. Lui la guardava, ma non la toccava più, lei rimase in attesa con lo sguardo desideroso. Un forte schiaffo sulla natica la fece ondeggiare tutta, facendola persino muovere dal suo appoggio a terra, l’urlo che trattenne le si bloccò in gola forzandola all’immobilità.
Lui intrufolò di nuovo la mano tra le cosce e riprese a massaggiarla, dedicando ulteriori attenzione al clitoride gonfio. I pensieri di lei si annebbiarono ancora, quel posto, quelle mani, non erano per la razionalità. Chiuse di nuovo gli occhi godendosi quei movimenti ruvidi alleviati solo dal suo desiderio. Le dita uscirono di nuovo da lei ed immediatamente dopo si abbatté sulla stessa natica un altro colpo. Protestò con un mugolio ma in realtà ne avrebbe voluto un altro.
Sempre più perversa!
Lui riprese a massaggiarla, stavolta tentò di guardarlo dritto in volto ma quando l’eccitazione arrivò all’apice, un attimo prima di raggiungere l’orgasmo agognato, chiuse di nuovo gli occhi e lui di nuovo la sculacciò forte. Non resistendo oltre cercò di procurarselo da sola stringendo le gambe e strofinandole, ma lui che aveva già slegato la corda cominciava a calarla lasciandola cadere gravemente per gli ultimi centimetri col bacino a terra, schiacciandole le braccia sotto la schiena.
L’urlo sommesso di lei era più per il mancato piacere che per il dolore.
Ora che era di nuovo distesa il sangue tornava a fluire nelle gambe come fosse composto da schegge di vetro che la pungevano dall’interno, era insopportabile ma non voleva che finisse tutto, non prima di essere venuta. Lui velocemente le liberò anche le caviglie e la guardava immobile a terra, lo guardava a sua volta ma non riusciva a muoversi sentendo che finalmente la pesantezza della testa si stava affievolendo mentre dalla vita in giù il sangue sembrava tagliare la carne per trovare nuove valli in cui fluire.
Rimase così per qualche minuto, ma quando si mosse lui le fu di nuovo sopra e giratola su un fianco le legò saldamente la caviglia opposta con la rispettiva coscia, poi senza convenevoli la ruotò sull’altro fianco e ripeté l’operazione. Le mani di lui, così vicine all’inguine pulsante di desiderio, le facevano partire scariche di piacere, pronta a ricominciare ancora.
Bloccate le gambe la mise in ginocchio e cominciò a stringerle le braccia al torso con spire di canapa.
Non riusciva più a fare a meno di quella sensazione, le pareva che solo in quel modo si sentisse completa. Lui chiuse il nodo e le si inginocchiò di fronte. Come poteva lei lasciarsi andare così completamente con un ragazzo di una quindicina di anni più giovane? Si sentiva dominata fin nel più piccolo pensiero, l’età di lui non importava, era lei che in qualche modo aveva vissuto fino ad allora senza essersi lasciata andare per davvero, ma ora aveva lui, che la legava, che le dava piacere, che aveva così vicino… senza accorgersene si sbilanciò verso di lui e con le labbra tentò di raggiungere quelle serie di lui.
Una mano forte le afferrò il collo e la tenne ferma a così breve distanza dal suo obbiettivo che aveva già sentito i nasi sfiorarsi. Si lasciò scappare un sospiro torrido di frustrazione che però non andò a scalfire l’autocontrollo di lui che, continuando a tenerla per il collo le girò alle spalle e si appoggiò col petto nudo contro la schiena di lei, che a sua volta si appoggiò a lui fino a sentire il nodo della corda che le premeva forte contro la spina dorsale e le mani sfiorargli gli addominali.
Lui la accoglieva contro il suo corpo e mentre la mano sul collo comandava i movimenti di lei, l’altra mano si fece di nuovo strada all’inguine e riprese a massaggiarla. Dita sapienti quelle che entravano ed uscivano dal sesso pulsante e che andavano a raggiungere tutti i punti più sensibili. Si sentiva bloccata, con la mano alla gola che diminuiva ancora la sua capacità di respirare per il busto stretto dalla corda. Sembrava accogliesse lava nel suo ventre che le dita di lui lasciavano colare all’esterno quando discostava le labbra carnose del suo sesso.
Eccolo, stava arrivando, chiuse gli occhi, abbandonò la nuca sulla spalla di lui ed iniziò a gemere sempre più rumorosamente. Lui non si fermava, lo sentiva che le respirava a poca distanza dall’orecchio e lo sentiva entrare dentro di sé. All’improvviso, senza riuscire a controllarlo, il suo corpo iniziò a tremare, scuotendola dal più profondo, anche la voce era rotta dagli scossoni, ma lui, imperterrito continuava a masturbarla, senza sosta, senza ritegno, fino a farla esplodere in un altro orgasmo, molto più intenso del primo, facendola crollare a terra, dopo aver spezzato la costrizione delle sue braccia.
Non sentiva il minimo controllo sui propri muscoli, sentiva solo che le corde le stavano penetrando a fondo nella carne.
Potete trovare tutte le mie storie sulla mia pagina dei Racconti di Milu.
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