Mia madre e i muratori. Prologo

Ahimè la storia che vado a raccontare purtroppo è veritiera. Sono Enrico un ragazzo statunitense emigrato in Italia dieci anni fa. Mio padre, Frank , era un ricercatore americano, che durante un soggiorno in Italia, presso una famosa università, conobbe mia madre Paola. Dopo essersi follemente innamorati l'uno dell'altra, decisero di partire insieme per gli Stati Uniti e dopo un anno ebbero il loro primo ed unico figlio.
Sfortunatamente mio padre è venuto a mancare undici anni fa a causa di una male incurabile.

Mio madre, trafitta dal dolore, decise di abbandonare il suo sogno americano e di ritornare in Italia, presso la sua famiglia.
Per anni mia madre ha avuto cura di me, come se fossi divenuto il suo unico uomo, trattandomi con il solo amore che una madre può dare ad un figlio. Non si è mai ricostruita una vita con un altro uomo, spegnendo tutte le sue voglie sessuali.

Oggi però miei cari lettori, vi racconterò quello che è accaduto un paio di mesi fa.

Dopo la morte di mio nonno, mia madre ha deciso di ristrutturare la casa ed ha chiamato una ditta edile consigliata da una amica. Il primo giorno di lavoro si presentarono a casa due operai, credo fossero extra-comunitari,visto che uno aveva un accento dell'est,mentre l'altro invece era di colore.
Mia madre ancora oggi è una donna abbastanza piacente, alta 1. 75 capelli castani , seno sodo..e mi vergogno a dirlo..un culo da favola…sembra duro come il marmo.

Appena i due arrivarono a casa io stavo per uscire di casa per andare all'università, ma appena li vidi volli rimanere ancora un po' per conoscerli. Li feci accomodare in cucina poiché mia madre gli stava preparando un caffè. Appena entrati, vidi che mia madre era ancora in camicia da notte, aperta sui seni..infatti si vedeva una parte dell'areola intorno al capezzolo. Mia madre sembrava facesse finta di niente, forse non se ne era accorta, ma ecco che ad un tratto accidentalmente le cadde la caffettiera da mano: “ Oh no! Guarda che ho combinato..per piacere Enrico passami un panno e portami la scopa per lavare a terra, dovrebbe stare nel ripostiglio”.

Corsi subito a prendere la scopa e quando ritornai sentivo ridere i due operai…più che una risata sembrava un sogghigno… entrai in cucina e vidi mia madre supina a terra…cercava di levare le macchie di caffè,dando le spalle agli operai. Capì allora perchè ridevano…mia madre non portava le mutandine..e le si vedeva sia la fessura della fica..sia il buco del culo. Ovviamente i due operai non distoglievano lo sguardo e sembrava non si fossero accorti di me, fin quando non dissi : “Mamma! Ho portato la scopa..eccola.

” Mia madre si rialzò di shitto. Si girò, mi guardò ed arrossì leggermente, aveva uno sguardo tra il colpevole e l'eccitato. “Grazie Enrico…sei un tesoro…vieni qui a dare un bacio alla mamma. Voi due -rivolgendosi agli operai- mi dovete scusare ora vi rifaccio il caffè. Nel frattempo mio figlio vi porterà in cantina e vi mostrerà dove dovrete cominciare. ” “Prego seguitemi – dissi. ”

Durante il tragitto tra la cucina e la cantina, li sentivo confabulare..in una lingua che sembrava vagamente italiano, le uniche parole che capii furono “figa” e “culo”.

Feci finta di niente e li accompagnai fino a destinazione. I due mi guardavano con dei falsi sorrisi a 32 denti. “Per qualsiasi cosa potete rivolgervi a me o a mia madre, chiamateci con questo citofono interno. ” “Grazie – risposero”.

Appena salii le scale decisi di non andare più all'università..non li avrei lasciati soli con mia madre.
Mi diressi in camera mia, accesi il computer, presi i libri e cominciai a studiare.

Dopo una ventina di minuti sentì bussare alla porta. “Toc-toc?”-era mia madre- “ Mà che vuoi..entra su. ” “Tesoro non vai più all'università?” “No, non mi sento bene…ho deciso di rimanere a casa..non ti preoccupare studierò qui…” “Ah va bene – sembrava al quanto dispiaciuta – mi raccomando solo di aiutare gli operai se necessario. ” “Ok mà. ” “Ora vado a fare una doccia…tu continua a studiare. ”

Passarono altri dieci minuti ed ecco il citofono squillare…erano gli operai.. “ Per piacere..tu scendere..noi servizio fare.

” “Ok. Arrivo. ” Non capii niente, ma mi avviai lo stesso in cantina, passando davanti il bagno sentivo il rumore della doccia e il canticchiare di mia madre.

Giunto in cantina il biondino (forse era ucraino) mi spiegò che gli si era fulminata la torcia e senza quella non riuscivano a lavorare. Provai a dargli un'occhiata,ma niente non si accendeva. Mi chiesero educatamente se fossi potuto andare da un ferramenta a comprarne un'altra.

Inizialmente non mi fidavo..poi pensai che il ferramenta non era neanche troppo lontano,era a dieci minuti di macchina,quindi accettai e mentre mi stavo avviando mi richiamarono. “ Puoi comprare anche sigarette perfavore?” “Va bene – risposi. ”

Aprì la porta della cantina e mi ritrovai in garage. Misi in moto e mi avviai. Appena arrivato dal ferramenta, scasualmente aprì il vano della torcia dove si inseriscono le pile. Mi accorsi che mancavano.

“SEI UN COGLIONE- mi dissi” E partii a razzo verso casa, ma era ormai troppo tardi.

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